Qualsiasi teorico è da sempre in cerca di validi strumenti con i quali rafforzare le proprie argomentazioni.
Gli scienziati emprici hanno ricevuto in regalo il metodo di Galileo, e soprattutto si sono mantenuti (spesso) cauti nel formulare tesi convalidabili con l’esperienza. Convalidabili, cioè, attraverso l’analisi di dati quantitativi.
Anche se qualcosa di recente (ultimi 50 anni) è cambiato, possiamo tenere fermo il fatto che una teoria scientifica sul mondo fondi la sua credibilità sull’evidenza sperimentale delle sue previsioni.

Ora, la filosofia è da sempre in cerca di argomentazioni altrettanto convincenti. Tuttavia, quando le teorie scollinano nell’ambito della metafisica, o comunque si mantengono ad un livello teoretico piuttosto alto, ci sono ben poche evidenze sperimentali (e mezzi a disposizione) a cui appoggiarsi.
Allora, se l’esperimento reale è irrealizzabile, perchè non superare l’ostacolo, e provare solo ad immaginarlo?
Con ciò, non si intende dimostrare l’ipotesi fattualmente, per via empirica; si cerca piuttosto dimostrarne la possiblità logica, la necessità logica, oppure al contrario l’impossibilità logica.

Ci sono diversi motivi per cui questi esperimenti immaginari meritano l’attenzione di un pubblico variegato:

  • Hanno diversi livelli di lettura, ma almeno uno di essi è di immediata e facile comprensione.
  • Sono a volte estremamente divertenti.
  • Allestiscono quasi sempre situazioni di esperimento paradossali e futuristiche.
  • Contengono una forte dose di immaginazione, inventiva, estro (alla faccia di chi pensa che la filosofia analitica sia grigia e arida).
  • Rendono umani, simpatici oppure un po’ goffi quei volti di filosofi paciosi, ormai vicini alla 70ina, che trovare nella quarta di copertina dei libri oppure su Wikipedia.
  • Ultimo ma non ultimo: certe volte sono davvero convincenti!

Poichè gli esperimenti mentali tentati e proposti sono veramente molti, ci limeteremo a quelli dell’ambito denominato "filosofia della mente", con una particolare attenzione a quelli proposti in tempi recenti, diciamo gli ultimi 60 anni. Vai con la Top Ten!

10)Il mulino di Leibniz (Leibniz, Monadologia)
In sintesi
Immaginiamo di essere ridotti alle dimensioni di un piccolissimo insetto, e poi di entrare negli ingranaggi del cervello, allo stesso modo nel quale un uomo entrerebbe in un grande mulino meccanico.
Per quanto possiamo esaminare il funzionamento di tutti gli ingranaggi, pulegge, ruote dentati presenti nel grande macchinario, è ovvio che là in mezzo non potremmo incontrare nemmeno l’ombra di un pensiero, di un desiderio, di una sensazione. Questi fenomeni, infatti, appartengono ad un ordine di realtà diverso.
Commento
Siamo partiti con un classico illustre: Leibniz intende mostrarci che il cervello è un macchinario fisico, e non  potremmo trovare alcun pensiero, emozione, sensazione al suo interno.  Dunque, questi fenomeni sono non-fisici: la mente è qualcosa di diverso dal cervello.
Leibniz ripropone dunque il dualismo cartesiano tra mente e corpo.

Poichè oggi conosciamo molto di più del funzionamento del cervello di quanto non fosse al tempo di Leibniz, potremmo abbozzare questa obiezione al suo argomento: se fossimo insetti piccolissimi, in effetti vedremmo dei pensieri. Ovviamente, non sarebbero spiritelli o fantasimini: sarebbero una realtà biologica, riconducibile all’attività dei neuroni. Se l’attività neuronale è il pensiero, allora tutto ciò che è mentale è riconducibile al fisico, pertanto la mente è il cervello.

9)I superspartani (Putnam)
In sintesi
Immaginiamo una congrega di superspartani i quali hanno fatto voto di non mostrare e resistere al dolore, in qualunque situazione, fino alla morte. Se sottoposti a tortura, i superspartani non gemeranno, non urleranno, non faranno nulla per fermare il dolore, che pure avvertono. Piuttosto, continueranno a dibattere di filosofia come sempre.
Commento
Hilary Putnam è l’inventore dell’esperimento mentale nella filosofia contemporanea. Molti dei classici nella Top Ten sono suoi.
Quello dei superspartani è un argomento contro la corrente filosofica del comportamentismo (Ryle), secondo la quale gli stati mentali sono interamente riducibili a disposizioni comportamentali osservabili.
Putnam intende mostrare come possano esistere (in possibilità logica) stati mentali (il dolore) ai quali non corrisponde alcun indizio esterno. Per un comportamentista i superspartani non starebbero provando dolore, equindi la sua analisi si rivelerebbe in questo caso insufficiente ed errata.

8)I qualia invertiti (Block e Fodor)
In sintesi
Io vedo i tramonti verdi ed i prati rossi. Tu vedi i tramonti rossi ed i prati verdi. Però io chiamo il rosso verde, ed il verde rosso. Infatti, se un terzo uomo chiedesse ad entrambi di che colore siano i tramonti ed i prati,  risponderemmo, allo stesso modo, "il tramonto è rosso", "il prato è verde"!
Pertanto, i nostri comportamenti sono indistinguibili, non danno alcun indizio della divergenza nella nostra percezione.
Ma un giorno, uno scienziato pazzo inventa un macchinario per collegare la mia percezione visiva al tuo cervello, e viceversa. Allora..orrore! Io chiamavo rosso il tuo verde e viceversa! Scopriamo con sgomento che le nostre esperienze soggettive sono differenti
Commento
Poichè i nostri comportamenti sono gli stessi, gli stati interni funzionali che li determinano devono essere, seguendo il funzionalismo, analoghi. Ma le nostre esperienze soggettive sono molto diverse. Conclusione: gli stati mentali non sono riducibili a stati funzionali.

7)Io non sono il popolo cinese (Bloch)
In sintesi
Se il mio cervello è come un computer, si potrebbe chiedere al governo cinese di fare simulare per un giorno le mie componenti all’intero popolo cinese. Un miliardo di cinesi sono sufficienti a simulare i miei stati funzionali. Ma potremmo dire che il popolo cinese sia una persona? E che sia cosciente?
Commento
Altro esperimento mentale di Bloch contro il funzionalismo, facendo leva nuovamente sull’irriducibilità dell’esperienza soggettiva a stati funzionali. In questo caso, ciò che resiste alla riduzione funzionale è il concetto di identità personale (io mi concepisco come un soggetto unitario) e la coscienza delle mie sensazioni interne ed esterne.

6)La neuroscienzata Mary (Jackson)
In sintesi
Mary è una neuroscienziata con un singolare difetto percettivo: vede il mondo in bianco e nero.
Eppure, poichè per lei il cervello non ha segreti, ha imparato a conoscere tutto ciò che riguarda la percezione visiva. Sa anche perfettamente come funzioni la percezione dei colori, che pure non ha mai sperimentato in  prima persona.
Un bel giorno, un collega le inventa una cura miracolosa, che le permette finalmente di vedere normalmente il mondo intorno a sé: che esplosione di colori! Mary è estasiata e sconvolta da questa esperienza, che è a tutti gli effetti una nuova esperienza. Conosceva alla perfezione il funzionamento fisico della percezione dei colori, ma non conosceva assolutamente la straordinaria esperienza di vedere in prima persona un mondo colorato!
Commento
Secondo Jackson l’esperienza in prima persona è qualcosa di non analizzabile dalla neurofisiologia, e non riconducibile a dinamiche fisiche. Mary sperimenta a tutti gli effetti qualcosa di nuovo, che non avrebbe mai potuto conoscere con il solo ausilio della neuroscienza.
.Obiezione 1 – comportamentista (Ryle, Dennett) ) Mary non impara una nuova nozione, impara un comportamento. Non è un knowing that, ma un knowing how.
.Obiezione 2 – Churchland ) Mary vive in prima persona un’esperienza che prima aveva conosciuto solo indirettamente, in terza persona. Tuttavia, un diverso punto di vista non implica una diversità ontologica tra i due tipi di conoscenza.
.Obiezione 3 – Mia) C’è un pregiudizio anti-riduzionista di fondo. Infatti si considera l’esperienza fenomenica soggettiva come qualcosa di separato e irriducibile rispetto alle spiegazioni che possiamo dare in ottica neurofisiologica. In questa contingenza storica è così; ma poichè nell’esperimento è immaginario, e si ipotizza che Mary sappia tutto sul cervello, per quale necessità logica non potrebbe conoscere anche con quali processi fisici è spiegabile l’esperienza soggettiva di percepire il colore? (quindi non solo il funzionamento dell’occhio, ma anche la coscienza che ho di questa percezione e le sensazioni che la accompagnano). In tale modo Mary saprebbe esattamente, prima di sperimentarlo, quali processi neurologici sono coinvolti nella percezione del colore in prima persona. Non sarebbe un’esperienza nuova…almeno non nel senso di qualcosa che non è possibile studiare sulla carta!

5)Gli zombi (Chalmers)
In sintesi
Gli zombi sono esseri con un cervello esattamente uguale al nostro, dal punto di vista fisico. Eppure non hanno cognizione di sè, sono carcasse deambulanti incapaci di decisione: non hanno stati coscienti. Ma se gli zombi sono concepibili, logicamente possibili, allora esiste qualcosa, la coscienza, che distingue noi esseri umani da uno zombi e dal suo comportarsi zombescamente.
Commento
Chalmers intende con questo argomento dimostrare l’irriducibilità della coscienza all’ambito fisico.
Il mio parere: l’argomento è fallace, in quanto c’è una petizione di principio: si stabilisce a priori che c’è una mente cosciente separata dal corpo, e si deriva che un essere senza tale mente cosciente non sia da considerarsi uguale a noi.
Se invece riteniamo la coscienza riducibile a processi fisici, allora potremmo sostenere che lo zombi in effetti non è biologicamente uguale a noi: non dispone dei processi fisici che sono la coscienza. Così cade la tesi forte dell’argomentazione.

4)Che effetto fa essere un pipistrello (Nagel)
In sintesi
Che effetto fa essere un pipistrello? Noi sappiamo tutto della percezione visiva del pipistrello, di come esca di notte a catturare le sue prede. Eppure, non saremo mai in grado di capire veramente e sperimentare la sua miscela percettiva, in prima persona.
Commento
Celeberrimo esperimento mentale, ancora sull’irriducibilità dell’esperienza in prima persona a spiegazioni in termini neuro-fisiologici.
Ancora una volta, l’obiezione principale può appoggiarsi sul seguente argomento: un fenomeno può essere concepito sotto diverse descrizioni, ma non per questo ogni descrizione implica un’entità ontologicamente distinta.

3)Un cervello in una vasca (Putnam)
In sintesi
E se io non fossi una persona, dotata di un corpo e di vere percezioni in mondo reale, ma fossi solo un’entità virtuale in un mondo virtuale, implementato da un supercomputer maligno? Esso mi tiene schiavo dentro una vasca, nella quale il mio cervello è collegato a tubicini che stimolano i miei sensi e mi illudono di vivere in una realtà differente. Ma allora, qual è il mondo reale? E come posso essere sicuro di vivere o meno un simile, gigantesco inganno?
Commento
Se ve lo state chiedendo: sì, è probabile che Matrix debba molto a questo articolo di Putnam…come del resto Putnam deve molto alla prima meditazione di Cartesio.
L’argomento intende rafforzare il realismo interno del filosofo americano: se concepiamo la realtà come relativa, esistono tante realtà quante descrizioni differenti possono darne gli agenti che vivono in essa. Ogni descrizione diversa avrà eguale legittimità. Un realista interno non crede ad una unica realtà oggettiva: pertanto non si porrà il dubbio di essere un cervello nella vasca, perchè se vivessimo davvero in questo grande inganno, nessuno potrebbe porsi al di fuori per provarlo. E nepure posso riferirmi a termini come "cervello" e "vasca" al di fuori della mia ‘cornice di realtà’, perchè a tutti gli effetti gli oggetti denotati da quei termini (le vasche che stanno intorno a me) ricevono quel nome in questa particolare ontologia. I termini che uso per nominare gli oggetti non conservano per necessità il loro significato all’esterno del mio mondo (vedi anche l’esperimento di "Terra gemella").
Se anche sentite di non aver compreso tutto, non disperate: Putnam ha una visione molto particolare della semantica e dell’ontologia. In sintesi, si considera un realitivista, e si contrappone alla concezione detta di ‘realismo metafisico’, che crede in una realtà oggettiva ed unica là fuori. Putnam dice che solo un realista metafisico avrebbe l’atroce dubbio scettico, di essere un cervello nella vasca. Un realista interno non si porrebbe semplicemente il problema:  esistono tanti mondi quante descrizioni, e un mondo non descrivibile semplicemente si dissolve.

2)La stanza cinese (Searle)
In sintesi
Mi trovo in una stanza, provvisto di un libro completamente scritto in cinese. Ogni pagina esibisce una sequenza di ideogrammi sul lato destro, e un’altra sequenza sul lato sinistro.
Una combriccola di dotti mandarini cinesi mi fa pervenire da una feritoia nella parete una domanda in cinese, scritta su un fogliettino di carta. Io confronto i segni sul foglio con il mio manuale, e scrivo sul retro del foglietto, come risposta, la sequenza di caratteri alla quale la domanda è associata secondo il libro.
I mandarini fanno diverse domande, e tra loro si compiacciono, perchè il loro interlocutore dà risposte particolarmente argute!
Tuttavia, il fatto è che io non so assolutamente una parola di cinese! Mi limito a confrontare sequenze di caratteri. La situazione è paradossale.
Commento
L’esperimento mentale di Searle è particolarmente riuscito. La mossa del manuale e delle sequenze di caratteri intende mostrare cosa dovrebbe avvenire nel mio cervello secondo i funzionalisti, ed in genere secondo coloro i quali pensano che il cervello umano sia una macchina di Turing che elabora sequenze di simboli. Searle mette in luce come una simile attività funzionale sia possibile, ed assolutamente credibile dall’esterno, anche quando in realtà io non ho alcuna consapevolezza del significato dei termini che sto computando! Allo stesso modo, i mandarini sono convinti che io conosca un buon cinese, anche se in realtà io mi sono limitato a confrontare caratteri su un manuale.
In altre parole, Searle mostra l’irriducibilità della semantica alla sintassi, in ottica di una spiegazione soddisfacente del funzionamento della mente.

Un’obiezione che è stata fatta alla Stanza cinese è la seguente: non è plausibile ritenere che il sistema comprendente me, la stanza e il manuale conosca il cinese? Searle risponde a tale obiezione sostenendo che comunque tale sistema non avrebbe coscienza di conoscere il cinese. Una contro-obiezione potrebbe essere che Searle ha un pregiudizio cartesiano, di identificazione tra mente e coscienza.

1)Oscar e Terra Gemella (Putnam)
In sintesi
Nel 1750 Oscar e un suo gemello vivono rispettivamente su Terra e Terra Gemella.
Entrambi puntano il dito verso una sostanza liquida, di colore trasparente, che sembra a tutti gli effetti acqua, e la chiamano "Acqua!".
Nel 1950 Oscar, ormai vecchio di 200 e passa anni, è venuto a conoscenza dei progressi della chimica fatti in questi due secoli. Ora può analizzare l’acqua su Terra e su Terra Gemella…e scopre che da noi l’acqua è H2O, mentre sul pianeta gemello è XYZ!
Allora, Oscar non chiamerà più l’acqua sul pianeta del suo gemello "Acqua". Invece, Oscar Gemello, poichè sul suo pianeta si studia poca chimica, potrebbe continuare a dare lo stesso significato ad "Acqua" sulla terra e su terra gemella…
Commento
Il mio esperimento preferito, perchè può essere meditato a lungo, e raggiungere vette di complessità teorica non indifferenti, nonostante l’apparente semplicità dell’esposizione.
Putnam ci sta dicendo qualcosa in forte controtendenza, rispetto al pensiero di illustri filosofi quali Frege, Russell, ma soprattutto Fodor e tutti i cognitivisti: i significati delle parole non sono nella nostra testa. La denotazione di una parola è un fatto sociale, una convenzione che riceve un battesimo, resistente in maniera variabile alle variazioni degli oggetti ai quali fa riferimento.
La concezione esternalista del significato si contrappone al solipsismo metodologico: la disputa è ben lungi dall’essere conclusa a favore dell’una o dell’altra scuola, e il dibattito è stato ben vivo nell’ultimo ventennio.
A ben pensarci, se la designazione rigida e variabile di un nome è una questione di comunicazione tra mondi possibli (Oscar può vivere in un mondo dove si conosce la chimica, oppure no), l’esternalismo di Putnam ben si sposa con il realismo interno visto nell’esperimento dei cervelli in una vasca. Infatti, se al contrario pensassimo un mondo unico e condiviso, saremmo portati a pensare ad una designazione unica per gli oggetti presenti in esso.


Searle indaffarato a rispondere ai mandarini cinesi