Il saggista, come ogni scrittore, vuole essere letto dal maggior numero di persone possibile. Ma ha anche, rispetto al narratore, un problema ulteriore: come conciliare il rigore dell’esposizione con uno stile accattivante? Ed è davvero necessario conciliarli?

La questione riguarda, nel caso che esamino, la divulgazione scientifica e filosofico-logica. L’argomento trattatato ben si presta, per il suo fascino e i suoi aspetti paradossali, a ricevere un taglio del discorso originale e avvincente.
Tuttavia, le cose non vanno allo stesso modo in ogni parte del mondo: molto dipende dalla ‘scuola’ di appartenenza. C’è, a mio parere, una frattura netta tra le seguenti due: la saggistica italiana (-europea), la saggistica americana.

Nel nostro paese, l’atteggiamento ‘conservatore’ ha radici profonde: da Croce e Gentile in poi scienza e lettere hanno subito trattamenti diversi, e questo si rispecchia non solo nella formazione scolastica, ma anche nell’esposizione saggistica. La predominanza delle lettere e di un’impostazione storico-idealistica impongono (inconsciamente?) al saggista italiano di confrontarsi continuamente con il passato. E’ una cosa che sentiamo molto, noi italiani: il peso immane della nostra storia. Ogni tanto questo peso può schiacciare  una buona (e nuova) idea. Si ha la convinzione che il saggista, prima di poter esprimere una opinione personale, debba avere una conoscenza profonda ed esaustiva dell’argomento, perseguita con interminabili e viscerali studi sul lavoro di chi lo ha preceduto. La conseguenza è che spesso la saggistica filosofica italiana è saggistica storico-filologica: un Uroboro che procede con la propria coda in bocca.

Oltreoceano, ci sono diverse ragioni perchè le cose vadano (come in effetti accade) in modo diverso. Gli stati uniti hanno solo 250 anni di storia. Sono stati e continuano, nonostante tutto, ad essere i pionieri nei vari campi del pensiero: le idee nuove vengono sperimentate e lanciate nella mischia, con un misto di ingenuità ed intraprendenza che a noi è sconosciuto.
Si guardi lo specchio di questo atteggiamento, ovvero la loro produzione saggistica: predominano l’audacia, la sperimentazione, le contaminazioni anche improbabili tra un campo e l’altro del sapere. Non è sempre un bene, ma bisogna ammettere che è in questo modo che nascono e si sviluppano le nuove idee.

Il confronto può proseguire sul piano formale: il saggio italiano è ancorato ad un modello di inizio novecento, manca di ironia, lo stile del discorso è astratto e formale. Ci sono poche figure e poche contaminazioni letterarie nella divulgazione scientifica.
Il saggio americano ha un titolo accattivante (qualche esempio? Come fare cose con parole, Godel Escher Bach: un’eterna ghirlanda brillante, e l’elenco di famosi e meno famosi potrebbe continuare) e uno stile incentrato sulla seduzione del testo. C’è molto del suo autore, della sua personalità. Egli testimonia non di rado l’amore viscerale per la sua materia, ti parla di quando era giovane (vedi Hofstadter e Chaitin), fa digressioni di carattere letterario, tutto rigorosamente in prima persona (e non plurale maiestatis..).
Avvicina il lettore, e l’avvince. Anche quando ci si rivolge al passato, tra la trattazione eurepea ed americana c’è tutta la differenza che passa tra: 1.riportare la dimostrazione e il teorema matematica 2.raccontare la storia dell’idea e del suo autore, fare intendere perchè ha fatto la storia della sua disciplina.
Un altro esempio sono le pagine web di imprese e università. Osservate cosa è capace di fare Joel Spolski, rispetto a qualunque imprenditore italiano che si mette sul web. Joel ti parla in prima persona, ti mostra dove mangiano i suoi dipendenti. Egli ha scritto anche un libro dove, guarda caso, asserisce di volere nella sua barca solo programmatori capaci di scrivere in uno stile accattivante.

Intendiamoci: la ragione non sta tutta da una parte. Ogni tanto la saggistica americana può anche peccare d’ingenuità, dare l’impressione al lettore di essere incosistente, di volverlo prendere in giro con troppi ammiccamenti. Ma è il rischio che si corre a voler stupire.
Certo il rigore e l’esaustività del saggio europeo è spesso da apprezzare, ma la divulgazione passa anche per una trasmissione dell’amore della materia, che invogli il lettore a prendere egli stesso la penna e dare un contributo.

Concludo facendo i nomi dei più ‘americani’ tra i saggisti italiani: Francesco Berto e Odifreddi.

Se volete vedere di cosa è capace l’amore per la sua materia di un saggista molto ‘americano’ come G.Chaitin, leggete la prefazione del suo ultimo libro Alla ricerca di Omega. Io ne sono rimasto conquistato.